Nell’articolo ci concentriamo su un effetto cinematografico tanto semplice quanto efficace: l’effetto Vertigo
L’effetto Vertigo è una tecnica di ripresa che non ha mai smesso di mettere in scena la psicologia dei personaggi. Conosciuto anche come dolly zoom o zolly, si tratta di una tecnica cinematografica che consiste nella combinazione di uno zoom in avanti e di una carrellata indietro – o viceversa, di uno zoom all’indietro e di una carrellata in avanti – e permette di ottenere un forte effetto visivo e psicologico principalmente di destabilizzazione.
L’obiettivo dell’effetto Vertigo è quello di regolare il campo visivo mentre la macchina da presa si avvicina o si allontana dal soggetto, in maniera tale che quest’ultimo rimanga della stessa dimensione.
Per ottenere l’effetto è dunque necessario allontanare la macchina da presa dal soggetto mediante la carrellata indietro, mentre ci si avvicina con l’obiettivo, quindi zoommando in avanti.
O al contrario avvicinare la mdp al soggetto con la carrellata in avanti mentre ci si allontana con l’obiettivo, quindi zoommando all’indietro.
Infatti, tramite l’utilizzo dello zoom, si ottiene una continua distorsione prospettica per cui lo sfondo sembra cambiare dimensione rispetto al soggetto.
Il cambiamento di prospettiva senza un corrispondente cambiamento di dimensione del soggetto provoca un forte impatto visivo e psicologico.
Niente vieta a un regista di utilizzarlo come mera cifra stilistica, ma l’effetto Vertigo dà l’effetto desiderato quando si fa rappresentazione visiva di uno stato d’animo.
Se utilizzati singolarmente, lo zoom e la carrellata imitano i naturali movimenti e i cambi di prospettiva a cui l’occhio umano è abituato: è precisamente la loro combinazione che, generando una manipolazione innaturale dello spazio, turberà lo spettatore.
La carrellata viene effettuata spesso con l’ausilio di un carrello montato su binari, come un dolly, il cui movimento rispetto alla scena può essere in avanti o all’indietro, come nel caso dell’effetto Vertigo, ma anche laterale, verticale, obliquo o semicircolare.
La ragione per cui questa tecnica viene definita effetto Vertigo – oppure Hitchcock zoom – è proprio perché deve la sua origine al film Vertigo (1958) – in italiano La donna che visse due volte – del regista Alfred Hitchcock.
Questo film è l’emblema del motivo della vertigine, uno dei temi ricorrenti della produzione hitchcockiana. Il protagonista John Scottie Ferguson, interpretato da James Stewart, in seguito a un evento traumatico ha sviluppato una forte acrofobia che conseguentemente gli provoca un senso di vertigine ogni qualvolta si trova ad affrontare delle altezze.
Uno dei rari casi in cui un film del regista naturalizzato statunitense ebbe scarso successo di pubblico e accoglienza tiepida da parte dei critici.
Probabilmente era troppo all’avanguardia per il suo tempo e solo più tardi, durante gli anni sessanta, i cinefili iniziarono a rivalutarlo e a riscoprirlo. Oggi è considerato da molti il miglior film di Hitchcock.
L’effetto prodotto nello spettatore dall’utilizzo del dolly zoom è un esempio magistrale della regola d’oro della narrazione, show, don’t tell: nella celebre sequenza delle scale del campanile, quando Scottie rivolge lo sguardo verso il basso, l’Effetto Vertigo restituisce la sensazione prodotta dall’acrofobia senza bisogno di pronunciare una singola parola.
Da Hitchcock in poi, l’effetto Vertigo ha goduto di largo utilizzo. La tecnica si rivela utile alla resa di metafore visive: può essere utilizzata per trasmettere, ad esempio, un senso di pericolo imminente o di paranoia.
Il senso di pericolo imminente è ben esemplificato nella pellicola The Lord of the Rings – The Fellowship of the Ring del 2001 di Peter Jackson, quando Frodo – Elija Wood – percepisce l’arrivo dei Nazgûl nella Contea.
Anche Martin Scorsese in Goodfellas del 1990 sceglie di rendere la paranoia dei personaggi servendosi del dolly zoom in maniera più sottile.
Se Hitchcock in Vertigo si serviva del dolly zoom per rendere l’acrofobia di Scottie in soggettiva, l’effetto Vertigo può essere utilizzato anche con inquadrature oggettive e riuscire comunque nell’intento di veicolare allo spettatore la soggettività dei personaggi, come si può notare dall’esempio di Goodfellas.
Anche in Lo Squalo (1975) di Steven Spielberg troviamo questo tipo di applicazione dell’effetto Vertigo con un impatto più forte rispetto al film di Scorsese: nel momento in cui lo sceriffo Martin Brody (Roy Scheider) assiste all’attacco dello squalo. Questo in seguito da TV Tropes venne chiamato The Jaws Shot.
Un esempio dell’effetto che si ottiene realizzando il dolly zoom servendosi dello zoom all’indietro e della carrellata avanti è offerto da Poltergeist (1982), diretto da Tobe Hooper e scritto da Steven Spielberg. Il mondo, piuttosto che chiudersi attorno al personaggio, si allontana. L’obiettivo sembra ora distante: il corridoio diventa lunghissimo, infondendo nello spettatore un senso di paura e angoscia.
Altri esempi sono Jules and Jim del 1962, sempre di Alfred Hitchcock, con esattezza nella scena delle statue nel giardino dell’isola: qui viene utilizzato il dolly zoom per creare quel senso di allontanamento delle cose che si prova quando si è completamente ubriachi.
Sam Raimi è il maestro dei rapidi effetti Vertigo al contrario: da un dettaglio appartenente a un oggetto o un personaggio la visuale viene sparata all’indietro per mettere in luce cosa accade intorno. Sam Raimi ne ha fatto un marchio di fabbrica come nella scena del duello di Pronti a morire (1995) in cui la velocità è tutto.
In Spy Game di Tony Scott del 2001, un’esplosione viene vista attraverso un binocolo portato agli occhi da Robert Redford: un dolly zoom capace di ricordare quello de Lo Squalo perché i sentimenti non sono meno tesi grazie a questo effetto. Tra le fiamme c’è anche il suo allievo Brad Pitt e i sentimenti di un mentore verso il suo pupillo sono nell’aria.
Infine, passando dal cinema alle serie tv, in Breaking Bad di Vince Gilligan, il dolly zoom di matrice hitchcockiana sul primo piano di Walter White, mentre il male si impossessa di lui e ogni volta ce ne rendiamo conto prima che accada.
Breaking Bad ne ha fatto un uso smodato, come tanta serialità contemporanea, perché Show, don’t tell! è una regola d’oro anche della buona televisione.
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