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Spettacolo

25 anni senza De André, 3 opere che potrebbero diventare bellissime serie TV

Spesso nelle sue canzoni Fabrizio De André ha raccontato storie che potrebbero essere adattate anche per altri media.

Sono passati 25 anni dalla morte di Fabrizio De André, uno dei cantautori italiani di maggior successo della seconda metà del novecento. La sua opera è spesso considerata il picco della produzione musicale popolare italiana di quel tempo, segnata da tanti autori che hanno come De André scritto e interpretato le proprie canzoni. Alcuni dei pezzi del cantautore genovese raccontano storie, alle volte vere altre inventate, che potrebbero essere adattate anche per diventare serie TV, come già avvenuto per la vita stessa di Faber, diventata la fiction Fabrizio De André – Principe Libero nel 2018.

Le storie dei De André: Coda di Lupo e Bocca di Rosa

Tra le canzoni più conosciute di De André c’è una delle prime a comparire in un suo album, Bocca di Rosa. Il pezzo narra di una donna che arriva in treno nel piccolo paese di Sant’Ilario. I suoi comportamenti libertini scombussolano la quiete della comunità, con diversi mariti che tradiscono con lei le rispettive mogli. L’antagonista di Bocca di Rosa non è però una delle “Cornute”, come l’autore stesso le apostrofa, ma una anziana mai sposatasi, che convince le donne del villaggio a denunciarla ai carabinieri.

Bocca di Rosa viene accompagnata alla stazione in un finale che sembra triste, ma che si rivela ironico. Alla stazione successiva del treno c’è una folla ad attendere Bocca di Rosa, la cui fama si è diffusa in tutto il circondario. Questa comunità la accetta a tal punto che, nel verso conclusivo della canzone, si De André descrive come il parroco del paese la voglia accanto a lui nelle processioni.

Altra canzone che si presta ad un racconto sarebbe Coda di Lupo, inserita nell’album Rimini del 1979. In questo periodo De André preferisce affidarsi più spesso a metafore e figure retoriche, abbandonando il realismo che spesso aveva contraddistinto i suoi primi pezzi. Coda di Lupo è infatti un’allegoria che racconta, vestendola in parte con alcuni aspetti culturali dei nativi americani, la storia del cosiddetto “Movimento del ’77”.

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Il Movimento del 77 è stato l’ultimo grande movimento di protesta del secondo dopoguerra in Italia. È caratterizzato da un rifiuto della dialettica tradizionale tra la sinistra istituzionale e le forze di governo. Studenti e lavoratori criticano l’approccio di avvicinamento tra progressisti e conservatori, in modi anche molto particolari. Simbolici sono gli Indiani metropolitani, una subcultura giovanile che si appropria appunto dei simboli delle tribù dei nativi americani come forma di protesta.

La canzone Coda di Lupo riprende proprio questa simbologia, raccontando nascita, sviluppo e declino del movimento del ’77 attraverso gli occhi di un giovane sedicenne che osserva tutte le fasi della protesta, dalle prime manifestazioni come quella alla Prima della Scala di Milano, fino al momento di rottura tra studenti e sindacati dei lavoratori, sancito dalla cacciata del segretario della CGIL Luciano Lama dall’università La Sapienza di Roma, occupata.

Un intero album: Storia di un Impiegato

Più che una canzone, l’ultima opera di De André che si presterebbe ad un adattamento in una sceneggiatura è l’album Storia di un Impiegato. Spesso interpretato come un disco politico, per il rammarico dello stesso autore, Storia di un impiegato è in realtà il racconto intimo di un adulto che si rifiuta di affrontare le responsabilità che la sua età impone e si attacca a una rivoluzione che non è la sua per sentirsi ancora giovane, con conseguenze tragiche.

Se la prima canzone del disco, Canzone del Maggio, serve a chiarire il contesto della storia (il Maggio Francese del 1968 e le grandi proteste della rivoluzione culturale), subito con La Bomba in Testa si entra nella vita del nostro impiegato. Ha passato i 30 anni e la sua vita è avviata su binari da cui è molto complesso deragliare. Ha una moglie, potrebbe anche aver già messo su famiglia, ma questa sua condizione lo perseguita. Vede, alla tv e per le strade, le grandi proteste, i giovani con una manciata di anni meno di lui che fanno la storia.

Si sente spettatore, condannato a non partecipare, e nella sua testa si fa spazio un’idea quella della bomba. Da quel momento fino alla canzone “Il Bombarolo”, ogni pezzo descrive un solo sogno. L’impiegato dorme e sogna un simbolico attentato ad ogni cosa che rappresenti l’ordine costituito, da Cristo al suo stesso padre. La bomba esplode, ma il responsabile viene immediatamente scoperto. Il giudice però non lo riconosce come colpevole, ma come “il potere” e gli chiede quale vuole che sia la sua condanna.

L’impiegato risponde che vuole “Lasciare ai suoi occhi solo i sogni che non fanno svegliare”, e così comincia La Canzone del Padre. Un pezzo in cui, nonostante la bomba, la vita del protagonista riprende, identica a quella del padre. Un lavoro inutile, una moglie che non lo vuole, figli che si rivelano un fallimento. Da quel sogno l’impiegato si sveglia più terrorizzato che mai e decide, questa volta davvero, di piazzare la bomba, di diventare Il Bombarolo.

La sua missione però è goffa e ridicola, quanto lo è il risultato. Partito con l’intento di far esplodere il parlamento, il bombarolo finisce per far saltare in aria un’edicola. Impresa che lo copre soltanto di ridicolo, mostrando quanto la sua figura sia patetica. Nell’unica canzone che, per ammissione dello stesso De André, ha senso estrarre da questo album, Verranno a chiederti del nostro amore, la moglie lo abbandona e il protagonista, non più bombarolo, ma nemmeno impiegato, finisce in prigione.

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Come per Bocca di Rosa però, quello che sembra un finale amaro, diventa nell’ultimo pezzo meno triste. Il protagonista prende parte a una rivolta carceraria, dove prima protesta rinunciando all’ora d’aria e poi, insieme agli altri carcerati, rinchiude i secondini nelle celle. Dal carcere, con una nuova visione sia di sé sia del mondo che lo circonda, ricorda a tutti quelli che stanno fuori quello che veniva cantato all’inizio dell’album, nella Canzone del Maggio. Che abbiate attivamente represso o semplicemente ignorato il cambiamento che stava arrivando in quei mesi, siete allo stesso modo responsabili di quello che è venuto dopo. Allo stesso modo di chi, goffamente, ha deciso di parteciparci per ragioni personali e con modi violenti.

Matteo Runchi

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