A Venezia il murales “Il Bambino Migrante” di Banksy sorvegliato speciale: si temono atti vandalici prima del restauro dell’opera
In questi giorni si è attivata una discussione attorno all’opera dello street artist Banksy Bambino Migrante a Venezia: minacciata dalla salsedine e dall’alta marea che stanno dissolvendo i colori, l’opera andrà sotto tutela e vigilata 24/7 da guardie giurate della Raiders Vigilanza di Mestre perché si temono anche atti vandalici in vasta del suo prossimo, nonché discusso, restauro. Non sarebbe la prima volta che le opere di Banksy vengano prese di mira per diversi motivi.
L’iniziativa però non è stata gradita da tutti: è stata accolta dall’entusiasmo delle istituzioni, ma anche dalle critiche del mondo degli street artists, convinti che quelle di Banksy, come degli altri artisti, debbano essere lasciate dove sono e andare incontro al naturale deterioramento del tempo.
Già quattro anni dopo la sua realizzazione, il murales di Banksy è già in cattive condizioni poiché, essendo stato dipinto a pelo d’acqua, in quella parte inferiore dei palazzi veneziani nota come area sacrificale, che di norma viene lasciata appositamente non decorata, negli ultimi anni è stato infatti rovinato dalle maree e dal moto ondoso provocato delle tante imbarcazioni a motore che percorrono tutti i giorni il canale, il trafficato Rio Novo.
È stata Banca Ifis, l’istituto di credito, a raccogliere l’appello per la salvezza del Bambino lanciato lo scorso ottobre dall’ex sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi: la banca finanzierà i lavori di messa in sicurezza del dipinto.
Alla fine ha prevalso la linea conservativa: il Bambino Migrante con giubbotto di salvataggio e torcia di segnalazione in mano, dipinto a pelo d’acqua nella notte tra l’8 e il 9 maggio 2019 vicino al Campo di San Pantalon, è stato così sottoposto a una stretta sorveglianza.
Precauzione o, con ogni probabilità, sono stati colti dei segnali che fanno pensare a un rischio di atti vandalici per danneggiare l’opera, divenuta una nuova attrazione turistica a Venezia, visibile com’è, comodamente, dal ponte che attraversa il rio San Pantalon.
Se così avvenisse anche l’immobile, di proprietà di una società di imprenditori padovani, ne risentirebbe, visto che il suo valore è aumentato da quanto lo street artist britannico lo ha scelto per la sua seconda opera in Italia – l’altra si trova a Napoli! -.
Presentando l’operazione e il nome della banca mecenate, lo scorso ottobre, Sgarbi aveva spiegato che la segnalazione del progressivo deterioramento del Bambino Migrante gli era arrivata direttamente dal sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, e dal presidente della Regione, Luca Zaia.
“La soprintendenza – aveva sottolineato Sgarbi – non poteva agire. Mi sono attivato subito e ho ottenuto la disponibilità della fondazione bancaria Ifis che coprirà le spese di restauro dell’opera e della facciata dell’edificio. Non ci interessa avere il consenso al restauro, dal momento che, tra l’altro, il murales è stato realizzato abusivamente”.
Una “responsabilità” che il critico aveva detto di assumersi in virtù della sua “delega sull’arte contemporanea, ed è mio compito tutelarla”. Le cose per Sgarbi sono andate poi diversamente. Quello di Banksy potrebbe essere il suo ‘testamento’ da sottosegretario alla Cultura, dopo l’addio al governo.
A tutto questo si aggiunge il fatto che, con ogni probabilità, lo stesso Banksy decise di dipingere Il bambino migrante sul pelo dell’acqua con la consapevolezza che non sarebbe durato a lungo e quindi il restauro non dovrebbe avvenire se non con il suo consenso.
“Prima di intraprendere un’operazione di restauro, è fondamentale consultare l’artista, ma anche la comunità locale, altrimenti non può che trattarsi di un’operazione calata dall’alto, sfruttando la fama di Banksy” ha affermato Rosanna Carrieri, attivista di Mi Riconosci, associazione di professionisti del settore culturale.
“Opere di questo genere non devono essere restaurate perché la natura della street art è effimera: si deteriora, il muro viene abbattuto, un altro artista copre. Sono cose che, generalmente, noi street artist accettiamo come compromesso”, ha commentato invece lo street artist veneziano Peeta, “è un’azione fatta in un luogo preciso, con un suo significato. È l’azione, il luogo che parla. Il tempo passa, le cose cambiano”.
Sgarbi ha detto di essere contrario nell’interpellare Banksy del restauro, spiegando che “non ci interessa avere il consenso al restauro, dal momento il murales è stato realizzato abusivamente. Chi agisce in modo abusivo su un edificio storico vincolato non può pretendere che qualcuno rispetti quello che lui non ha rispettato”.
Secondo un dirigente del ministero della Cultura, Angelo Piero Cappello, l’opera ha “assunto una dimensione pubblica”, ed è quindi nell’interesse pubblico metterla in sicurezza e valorizzarla.
Diversi esperti veneziani sostengono che l’attenzione data alla preservazione del Bambino migrante e la velocità con cui si è cercato di trovare una soluzione sia eccessiva: “Il palazzo è vuoto da decenni in un momento in cui la città è a corto di alloggi per i residenti: dovremmo preoccuparci della direzione che sta prendendo Venezia, i cui equilibri vengono profondamente stravolti dal turismo, anziché del restauro di un’opera nata per scomparire”, ha detto a Euronews Matteo Pandolfo, membro dell’Ordine degli Architetti di Venezia.
Come detto precedentemente, la decisione è stata accolta da molte discussioni sia tra chi non ritiene che un graffito meriti un investimento di quel tipo, sia tra varie persone che si occupano di beni culturali, a Venezia ma non solo.
Parte delle critiche si concentra sul modo in cui l’operazione è stata gestita: sulla rivista specializzata Artribune, per esempio, la storica dell’arte Fabiola Naldi scrive che l’intervento di Sgarbi “elimina qualsiasi altra possibile riflessione. Lo vuole Sgarbi e quindi si fa, non lo vuole Sgarbi e quindi non si fa. Se servono soldi e Sgarbi vuole, i soldi si trovano, se servono soldi e Sgarbi non vuole, i soldi non ci sono più”.
In larga parte, però, le critiche si concentrano sull’idea stessa di restaurare un graffito, che per sua natura è esposto alle intemperie ed è pensato quindi per durare relativamente poco.
“Come storica dell’arte, ho dei dubbi su questo progetto: in passato, praticamente tutti i palazzi veneziani erano adornati di affreschi, che nel tempo sono scomparsi”, ha detto a Euronews la storica dell’arte e guida turistica veneziana Monica Gambarotto.
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