Tra la grande produzione cinematografica di Paolo e Vittorio Taviani abbiamo scelto quelli che per noi sono i cinque film più importanti
Se esistesse un punto d’incontro in cui cinema, letteratura, religione, cronaca e Storia possono coincidere al punto di fondersi l’uno con l’altro, potrebbe essere la filmografia del fratelli Paolo e Vittorio Taviani.
La scintilla da cui nasce la loro filmografia proviene dalla costola più politica del Neorealismo italiano, quella che ha sposato la narrazione degli ultimi trovando nelle loro vicende la verità da servire, ma anche la musicalità cinematografica e il melodramma più crudo per creare la poesia e il lirismo visivo che l’ha contraddistinta per più di mezzo secolo.
Una costola che nell’idea dei fratelli toscani doveva incontrare le riflessioni acute, amare e appassionate dei grandi scrittori nostrani (in primis Luigi Pirandello, basti pensare a Kaos del 1984, film a episodi ispirato a quattro Novelle per un anno) e dei sommi protagonisti del pensiero letterario mondiale (Tolstoj su tutti, guardate a San Michele aveva un gallo e Il sole anche di notte).
Riflessioni ambientate negli sfondi rurali sede dei microcosmi popolari, rappresentativi i grandi snodi storici (il racconto del genocidio armeno in La masseria delle allodole) e metaforiche sedi dei conflitti esistenziali dell’umanità. Ma scopriamo insieme le loro pellicole più importanti.
Paolo e Vittorio Taviani, le loro migliori opere
Il loro è stato, fino alla fine, un cinema complesso, cosparso di trappole semantiche e di simbolismi ricorrenti, in cui si riusciva a far coesistere un’idea artistica importante, un senso della spiritualità elevato e misterioso e una voglia di raccontare la realtà attraverso tutte le possibilità che il mezzo cinematografico concede.
Un cinema in grado di regalare sequenze iconiche, momenti di dolcezza straordinaria e scene di una crudeltà quasi intollerabile, caratteristiche di una umanità senza censure, divisa tra bassezze animali, grandi pensieri e sentimenti cannibalizzanti.
Tutti aspetti presenti nelle loro opere, dai primi documentari e le collaborazioni con quel Valentino Orsini “compagno” del cineclub di Pisa fino alla messa in scena del romanzo partigiano di Beppe Fenoglio, ultimo film fatto in coppia, poco prima della morte di Vittorio Taviani.
Per quanto riguarda invece l’ultimo titolo in assoluto che porta la firma “Taviani” bisogna arrivare a Lenora Addio del 2022, a 60 anni esatti dal loro debutto.
Il film ancora tratto da uno scritto di Pirandello e premiato con il FIPRESCI alla Berlinale, lo stesso festival che una decade prima premiò il loro meraviglioso Cesare deve morire con l’Orso d’oro (solo sei registi italiani ci sono riusciti).
Parliamo di ultimo titolo perché nella sera del 29 febbraio, un giorno che esiste ogni 4 anni, si è spento anche Paolo Taviani, che stava lavorando ad un nuovo titolo, Canto delle Meduse.
Iniziamo con il primo film diretto in solitaria dai Fratelli Taviani dopo il sodalizio iniziale con Valentino Orsini, I sovversivi del 1967, presentato in concorso alla 32esima edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.
Alcuni militanti del partito comunista raggiungono Roma per assistere ai funerali del segretario Palmiro Togliatti, evento catalizzatore di uno smarrimento comune a tutti loro, che è sia di impronta politica e che personale, due sfere che il film mostrerà fatalmente collegate l’una all’altra.
Uomini di pensiero, di lotta e di impegno che trovano in quel momento tragico della loro vita collettiva un corrispettivo delle loro contraddizioni intime. C’è chi vede la moglie scoprirsi omosessuale, chi decide di seguire il sentiero di colui che ha rinunciato a tutto, chi si prepara la rivoluzione e chi fantastica di una nuova guida in cui potersi immedesimare.
Un film molto personale in cui i registi mettono in scena la loro difficoltà nel rapportarsi con il mondo che stava per nascere sulle ceneri dei loro valori, quelli che hanno pensato potessero essere invece fautori di un futuro in cui sentirsi più comodi e rappresentati e che invece li faceva sentire già vecchi. Come Ermanno, il 23enne con il volto di Lucio Dalla.
Passiamo poi alla prima collaborazione tra i fratelli Taviani ed Ennio Morricone, la quale avvenne in Allonsanfàn, film del 1974 con protagonista Marcello Mastroianni, durante una delle sequenze più iconiche dell’intera filmografia dei registi toscani, forse la più impressionante per potenza e rappresentatività.
La pellicola è stata presentata Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes 1975 e deve il suo titolo ad una sorta di italianizzazione delle prime parole della Marsigliese, Allos enfants, suggerimento di una riappropriazione sgangherata dell’ideologia rivoluzionaria croce e delizia di Fulvio, aristocratico ex-giacobino, ex-ufficiale napoleonico ed ex-membro di una setta carbonara, rilasciato durante la Restaurazione perché ritenuto ormai innocuo.
Una constatazione esatta, dato che l’uomo è ormai stanco di lottare, fiaccato dai fallimenti e ormai convinto che i vecchi ideali siano ormai tramontati. L’antica passione è però sempre in agguato e basta una visione giovanile, sgangherata e sognatrice, per farla riemergere.
Una pellicola complessa che narra la tragicomica Odissea di un residuo di un’epoca passata, divisa tra la volontà di sopravvivere, anche avvalendosi di ignominie inaudite nei confronti dei suoi ex compagni e i suoi vecchi valori, e la voglia di vestire di nuovo gli abiti che hanno animato la sua vita e urlare al mondo che non si era sbagliato.
Padre padrone, Palma d’Oro al Festival di Cannes del 1977, è il film più conosciuto e premiato dei fratelli Taviani e uno dei più apprezzati dell’intero movimento italiano degli anni ’70.
La storia della sua ideazione parte da lontano, dato il desiderio di fare questa pellicola germogliò nella testa dei registi quando lessero l’articolo giornale che riportava la vicenda di Gavino Ledda, ancora prima che egli scrivesse l’omonimo romanzo autobiografico da cui il titolo fu poi liberamente tratto.
La pellicola è un’opera di emancipazione simbolica di una generazione intera, raccontata attraverso la storia di una schiavitù patriarcale perpetrata ai danni di un giovane ragazzo sardo costretto ad abbandonare la scuola per lavorare la terra di famiglia.
La storia di un conflitto, in un certo senso un film che racconta una guerra per la conquista della propria vita, cercando di coniugare l’amore per la terra e per le proprie radici con quello per l’evasione, l’aria, la musica e le arti in grado di far volare. Pellicola nata con la voglia di distruggere il senso di colpa ricattatorio che non permette di raggiungere quella libertà che invece deve essere ottenuta anche combattendo fisicamente contro l’oppressore.
Padre padrone è un titolo dalla potenza incredibile, in grado di rielaborare il neorealismo secondo la prospettiva dei Taviani e riesce ad unire la fabula locale con il mito classico per parlare del contemporaneo.
Forse l’apice dell’idea di cinema dei registi (nonostante le controversie che suscitarono molte critiche dei sardi) perché, nonostante sia nato come sceneggiato per la tv, risultò vincitore al salotto d’eccezione del cinema mondiale. Un successo dovuto alla volontà irremovibile, guarda caso, di Roberto Rossellini, che presiedeva quella commissione della kermesse.
La notte di San Lorenzo e Cesare deve morire
I tre ingredienti vincenti per La notte di San Lorenzo del 1982 sono Storia, cronaca e vicenda personale. Grand Prix Speciale della Giuria alla 35esima edizione del Festival di Cannes, una pellicola in cui i fratelli Taviani mascherarono la loro città natale, San Miniato, con il nome fittizio di San Martino, per raccontare la famosa strage del duomo del 22 luglio del 1944, erroneamente attribuita ai tedeschi, ma in realtà compiuta dall’esercito degli alleati.
Una voce femminile introduce un racconto corale, che più che dare importanza alle vicende politiche che animarono i moti della Liberazione, si concentra sulle vicende personale dei protagonisti, vittime di un momento di confusione, violenza e odio, in cui scompaiono le bandiere e le fazioni, dato che sul campo si muore tutti quanti.
Non una fredda cronaca, ma un moto di emozioni e ambizioni, che muove i passi dei superstiti, dilaniati dalla lotta continua. Uno dei film più drammatici dei fratelli Taviani, che però, oltre a riportare le sofferenze di una popolazione contadina vittima di quello che, fondamentalmente, è stato prima di tutto un grande massacro, vuole concentrarsi sulla loro forza d’animo.
Un gruppo di persone che si è fatto protagonista di un esodo, come altri popolazioni sono state costrette a fare prima di loro, in cerca di una libertà (ancora la libertà), da ricercare in ogni modo e che ha in sé la promessa di un futuro migliore.
Cesare deve morire del 2012 vinse a Berlino e, tra i tanti grandi meriti, spicca per aver donato ai registi una nuova vita cinematografica.